La Fabbrica dei Sogni (Una mostra alla Biennale di Venezia, 1996)

Introduzione La Fabbrica dei Sogni G li edifici realizzati dalla Walt Disney Company si discostano ormai da quelli inaugurati a Disneyland nel luglio 1955. A quel tempo erano poco più che facciate elaborate. Ora, nel regno di Disney in continua espansione, sono ben più articolati e molto complessi; ora l’architettura comunica a vari livelli, dall’ovvio al subliminale, come nell’elaborato progetto di Aldo Rossi per il complesso di uffici “Celebration Place” o in quello di Robert Venturi, infantile e sofisticato, per la sede dei vigili del fuoco al Reedy Creek Improvement District. M olti edifici progettati per Disney si appropriano di le immagini prese dalla memoria rendendole astratte. Cosi é avvenuto per gli edifici cerebrali di Arata Isozaki per il “Team Disney Building”, o quelli referenziali di Robert A. M. Stern per il Feature Animation Building e di Michael Graves per il Team Disney Burbank. I progetti sembrano inizialmente agire a livello emotivo e poi a livello razionale. Di solito invece l’architettura agisce al contrario: si valuta prima l’esteriorità, osservandola e traendone piacere, per poi venire catturati dai suoi poteri sottili e persuasivi. N on si vuole con ciò minimizzare il ruolo dell’architettura nel creare e modellare gli spazi. Ma il lavoro svolto negli ultimi 50 anni per la Walt Disney Company sottolinea soprattutto le possibilità emotive e narrative dell’architettura, i luoghi e la creazione dei luoghi, l’indeterminatezza temporale che rende presente sia il passato che il futuro. L’architettura ha sempre il potere di trasportarci verso altri regni. Walt Disney intuì e comprese tutto ciò, e il suo successore Michael Eisner, che affronta l’architettura in modo passionale e intellettuale, ha commissionato edifici che sono un vincolo e una sfida, ma che allo stesso momento hanno il potere di incantare come quelle facciate decorate e ornate di più di quaranta anni fa.

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