XXXI. Biennale Venezia (Venezia, 1962)

il suo stile personale ricco di tonalità delicate e sfumature for-realtà. Negli ultimi anni, sia nelle opere di intima poesia ehe nelle composizioni murali monumentali, l’artista fa balenare, con le sue pennellate pastose, contrasti acuiti di fini valori. Non solo come teorico dell’arte, ma anche come scrittore ehe nei volumi della sua autobiografia présenta un suggestivo quadro dell’ultimo mezzo secolo della vita ungherese, Bernáth si afferma come una personalità dell’evoluzione culturale del suo Paese. Nello sviluppo ideologico della cultura ungherese ome per le Biennali di Venezia degli ultimi anni, anche questa volta abbiamo perseguito due finalità nella scelta del materiale del padiglione ungherese. Da una parte intendiamo presentare l’uno dopo l’altro i maestri che segnano le varie epoche della nostra arte del XX secolo, documentando con la loro opera il sincronismo della nostra arte autoctona con lo sviluppo moderno, e, dall’altra vogliamo illustrare con esempi la ricerca di nuove vie negli artisti dei nostri tempi dimostrando con una apposita selezione di lavori la molteplicità delle tendenze del realismo nostrano verso la comune meta della cultura socialista. Tra i nostri vecchi maestri, JÁNOS KM lavora con indefessa energia e costante aderenza ai suoi ideali razionalistici. È il rappresentante ungherese più particolare del cubismo classico. Nelle sue nature morte architettoniche l’azzurro pallido e fresco nell’armonia dei tenui colori grigi e bruni diventa la base di sostegno di una calda atmosfera umana. II rappresentante della grande generazione dei nostri pittori intorno alla metà del secolo è Aurél Bernáth, campione sicuro di una carriera ehe parte dalla fine degli anni 20 e ascende fino ai nostri giorni. A Berlino metropoli europea dell’espres­­sionismo, egli era seguace deH’astrattismo romantico e orga­­nizzava mostre personali alla Sturm. Tomato negli anni dopo il ’30, sulié orme delle tradizioni più poetiche dell’impressio­­nismo magiam, in una serie di capolavori andava elaborando E T T Y mali. È unó dei grandi teorici, ma nello stesso tempo unó dei lirici più sensibili della pittura del nostro Paese. I suoi soggetti sono quelli dell’uomo della grande città: le finestre a perte sul paesaggio, sulla città, sul lago accompagnano come un simbolo la sua opera. Ha tradotto in capolavori straordinari la espres­­sione pittorica della musicalità; il suo ritratto di una violonista è stato paragonato una volta da Meier-Graefe al suono di ,,uno Stradivari in sordina“. Bernáth si è opposto alio splendore superficiale dell’impressionismo e — come ebbe a dire il suo monografo István Genthon — con la sua „lucidità profonda“ ha fatto scaturire la fonte dei suoi colori da tali profondità che dietro la delicata visione coloristica veniva a manifestarsi con associazioni di travolgente potenza, l’umanità, essenza della AURÉL BERNÁTH è, accanto al nostro grande maestro rivoluzionario Gyula Derko­­vits presentato alia Biennale di due anni fa, il grande rappre­sentante della progressività dell’arte borghese. Tra i nostri pittori ehe passarono all’estero ii periodo tra le due guerre mondiali, FERENC MARTYN è venuto formando a Parigi, come appartenente al gruppo pitto­rico dell’Abstraction-Création e impegnato in svariati tentativi non-figurativi e surrealistici, la sua cultura di disegnatore di eccezionale finezza. Egli rimane radicato nella realtà e perfino le sue composizioni che sembrano visioni fantastiche pur con­­servando sempre una chiarezza logica, sono penetrate dal desi­­derio di servire l’umanità. La loro efficacia ha un intensità non minore di quella delle illustrazioni al Don Quijote che innal­­zano, attraverso le vicende del romanzo classico, i suoi perso-

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